Col, dur. 1’04’’
Una performance di scrittura che interroga il rapporto tra legge, linguaggio e corpo. Il punto di partenza del lavoro è l’idea che il linguaggio -e la legge in quanto formulazione linguistica- sia in grado di contenere in maniera piena la complessità della realtà, rappresentandola e dandone espressione. Ciò implicherebbe una corrispondenza diretta tra ciò che viene rappresentato e il linguaggio che lo rappresenta, tra parola e cosa, tra legge e fatto. In alternativa, una diversa visione è quella che pone in evidenza la dimensione sempre paradossale del linguaggio, l impossibilità del linguaggio di contenere e rappresentare “fedelmente” la realtà. In questa direzione va considerato anche l’elemento incongruo della legge, il fatto cioè che la legge, in quanto formulazione linguistica, sgambetta e tradisce sempre se stessa.
In questa dimensione, il primo comandamento fornisce un utile esempio di espressione linguistica e di incapacità di questa espressione di “assolvere” alla funzione comunicativa e ingiuntiva che le è propria. La semplice trasposizione della comune tradizione biblica, da una lingua all’altra, da una scrittura ad un’altra, implica nella sua azione di scrittura un simultaneo effetto di traduzione e tradimento: una mano tradisce l’altra in una semplice e simultanea operazione di traduzione. L’ unicità implicata e contenuta dalla formula “non c’è altro dio all’infuori di Dio” viene così trasgredita e smembrata in una sequenza di segni dissociati che seguono più un ritmo asincrono tra le due mani, una danza, che non l’invocazione di senso che il comandamento vorrebbe esercitare.